All'Argentina di Roma fino al 29 gennaio, poi all'Eliseo (28 marzo-14 aprile)
Chi ha paura di Virginia Woolf?
di Alice Calabresi
"Chi ha paura di Virginia Woolf…?" Questo ritornello cantato è ricorrente in tutto il dramma omonimo di Edward Albee in scena al Teatro Argentina di Roma fino al 29 gennaio, poi al Teatro Eliseo dal 28 marzo al 14 aprile con Mariangela Melato, Gabriele Lavia, qui nel duplice ruolo di attore e regista, Agnese Nano ed Emiliano Iovine. Le scene sono di Carmelo Giammello, costumi di Andrea Viotti e musiche di Andrea Nicolini.
Lo stravagante e provocatorio titolo è stato una delle fortune dell’opera, uscita in America nel ‘62, allestita in Italia l’anno dopo da Franco Zeffirelli e nel ‘66 vincitrice di 5 oscar nella versione cinematografica di Mike Nichols con Liz Taylor e Richard Burton.
Un titolo che l’autore ha ammesso di aver visto scritto su uno specchio in un bar del Greenwich Village circa dieci anni prima della stesura dell’opera: scimmiottava il ritornello di una favola molto nota in America negli anni ‘50: The Three little pigs, in cui i porcellini canticchiavano who’s afraid of the big bad wolf?
In realtà il titolo non ha nulla a che vedere con la scrittrice inglese, ma esprime molto bene la forza di rottura di un testo di più di 40 anni fa. Infatti, se può dirsi metabolizzato il messaggio riferito alle false illusioni della società americana, il testo ha ancora una notevole risonanza nell’esprimere - come sottolinea il regista Gabriele Lavia - una generale crisi della società occidentale, incarnata dal rapporto distruttivo degli stessi protagonisti, analizzato in maniera profonda e sottile.
E’ la storia di una coppia di mezza età: Martha (Melato), figlia del rettore di una prestigiosa università americana, Gorge (Lavia), frustrato professore di storia nella stessa facoltà. I coniugi invitano una sera a casa una giovane coppia, un professore di biologia con la moglie e insieme intraprendono un pericoloso gioco della verità tra alcol e tradimenti.
Nella fittizia comunicazione con l’altra coppia, che non si sa se reale o semplice proiezione dei protagonisti, emerge il forte legame sado-masochistico di Martha e George, vittime e carnefici di un amore infernale, carico di violenza e umiliazioni, alimentato da un figlio immaginario, mai nato e sempre desiderato, usato come collante al comune gioco al massacro. La vita del figlio si infrangerà in un incidente stradale, grande metafora della distruzione dell’ american dream che pervade tutto il dramma.
E la regia ben rispecchia quest’idea con una scena fatta di sabbia, vecchie poltrone, rottami, jukebox, insegne luminose stile Broadway.
Di assoluto rispetto la scelta della disinvoltura del linguaggio, la naturalezza della recitazione e la plasticità dei movimenti in cui la coppia Lavia-Melato dimostra di essere in perfetta sintonia.
Originale e dinamica la trovata di una telecamera che Lavia punta su scene importanti, le cui immagini vengono proiettate da molteplici televisori. Anche nella scena finale saranno i televisori a parlare al posto degli attori, a riportarli alla realtà.
Intenso e lucido nel finale, il breve monologo della Melato rivolto al figlio, posto in un simbolico angolo-rifugio dei ricordi pieno di giochi infantili.
Spettacolo in cui gli attori non si risparmiano, passando brillantemente dal registro tragico al comico, correndo su e giù per il palcoscenico e per un’alta scala adibita a casa e soprattutto i protagonisti Melato - Lavia, danno prova di grande energia, agilità e presenza, dimostrando ancora una volta la loro grande caratura scenica.
Alice Calabresi
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